43 anni, due figli già grandi, 18 e 15 anni; un periodo della nostra vita non troppo sereno, infatti sia i genitori di mio marito che i miei nel giro di pochi anni si erano ammalati di malattie gravi ed inesorabili,

quando un giorno mi sono resa conto che, inaspettatamente, una cosa meravigliosa era accaduta…ero di nuovo incinta. Quali e quanti controlli ho fatto per essere sicura che tutto andasse bene, quante emozioni, ansie e la paura di perderlo che hanno fatto sì che trascorressi gli ultimi quattro mesi di gravidanza a letto.

La gioia era immensa, anche perché condivisa con i miei figli, nel seguire la crescita di Matteo attraverso le tante ecografie fatte; ne ricordo in particolare una durante la quale il medico che la stava effettuando ha stampato un ulteriore foto, quella della manina destra che si apriva e chiudeva come se stesse salutando, dicendomi di portare il “cinque” ai suoi fratelli. Questo fu a dir poco profetico! Quando giunse il fatidico giorno del parto, avevo intorno a me oltre alla mia famiglia anche delle altre persone affettuose, la mia ginecologa, le infermiere, l’ostetrica dell’ospedale, conosciute ai tempi degli altri parti. Il pediatra che era già stato il medico degli altri figli; insomma un ambiente sereno.
Proprio per questo nei primi istanti dopo il parto ed il successivo pianto di Matteo il gelo ed il silenzio attorno a me hanno fatto sì che io capissi che era successo qualcosa. Il pediatra ha avuto l’onere di informarmi dell’accaduto cercando di tranquillizzarmi parlando dei progressi della scienza, della chirurgia estetica all’avanguardia ecc. ecc. visto che il piccolo non aveva le dita della mano sinistra.
Io ancora provata dallo sforzo del parto, in quel momento non ero in grado di capire e tantomeno di pensare fino a quando mi hanno chiesto (in buona fede) se volevo rimanere da sola con il piccolo in una stanza a parte della corsia o lasciare lui nella nursery in modo da evitare curiosità…in quel preciso momento è scattato in me un qualcosa che mi ha fatto dire che certo non sarei stata io, sua madre, la prima ad emarginarlo e l’amore e l’istinto di protezione nei suoi confronti hanno prevalso su qualsiasi altra emozione.
I fratelli lo hanno accolto con amore coccolandolo e facendo a gara su chi lo dovesse tenere in braccio pur soffrendo tantissimo per ciò che gli era capitato e con il passare dei giorni il loro ed il nostro affetto mi hanno fatto molto riflettere su quanto sia importante che questi eventi capitino a chi è in grado di accettarli.
Ciò che ci ha molto aiutati è stata la presenza in ospedale di un altro pediatra che, avendo lavorato in precedenza nel Centro Malattie Rare dell’Ospedale Gemelli di Roma, ha immediatamente riconosciuto in quella di Matteo la Sindrome di Poland con le sue peculiarità, la mancanza del grande e piccolo pettorale e nel suo caso l’adattilia della mano sinistra. Questo dottore ha potuto metterci subito in contatto con i medici giusti, evitandoci quei massacranti peregrinaggi da un posto all’altro cui spesso sono sottoposti i genitori quando sono lasciati soli con un grosso problema e non sanno dove sbattere la testa!
Tutte le nostre paure ed ansie svanivano man mano che le indagini rivelavano che comunque il danno era in prevalenza “estetico”e che il bimbo non avrebbe avuto problemi nella crescita e cosa più importante nell’intelletto. Non sto a raccontarvi i sentimenti ed i pensieri che ci accompagnavano durante le soste nelle sale d’aspetto degli studi medici in attesa dei risultati dei vari esami cui veniva sottoposto Matteo periodicamente, il ritrovare negli sguardi degli altri genitori presenti le medesime ansie, lo smarrimento ma anche il senso di sollievo di non essere soli, e sono sicura che anche voi che leggete questa lettera sapete bene di che cosa sto parlando!

E a proposito di non essere soli ecco come sono entrata a far parte della nostra Associazione.
Appena nato Matteo avevo dato la possibilità al Centro Malattie Rare di Ranica, cui avevo scritto per avere ulteriori informazioni circa la Sindrome di Poland di dare il mio numero di telefono ad eventuali genitori che li avessero contattati per il medesimo problema. Fu così che un giorno ricevetti la prima telefonata da parte di un papà di Genova che altri non era che Massimo Naticchi, marito della nostra Eva. Con loro scambiammo le nostre storie, impressioni, esperienze nel corso di telefonate sporadiche ma lunghe e confortanti durante le quali si parlava anche di altre persone che si mettevano in contatto con me ed anche con loro e della necessità di riunirci tutti; fino a che un giorno Eva, che già da tempo si era data un gran da fare, mi chiamò per dirmi che era stato fissato il primo incontro a Genova con alcune famiglie ed i medici volenterosi dell’ospedale Gaslini e di altre strutture di Firenze per formare la nostra Associazione…!
Ed eccoci qui in procinto di incontrarci tutti e di più per la quarta volta a Montecatini fra meno di una settimana. Questi appuntamenti annuali sono attesi con lo stesso stato d’animo di una festività in cui si incontrano vecchi amici e se ne fanno di nuovi, in cui i bambini ritrovano compagni di giochi grandi e piccoli con cui riprendono il filo di un discorso interrotto un anno prima come se fosse solo ieri!
E noi grandi, ormai veterani, abbiamo di nuovo la possibilità di aiutare quelle persone che affrontano la sindrome per la prima volta per sè stessi o per i loro figli, infondendogli coraggio e dimostrandogli che i nostri sono dei figli speciali, dotati di forte sensibilità, con delle risorse che a volte noi neanche supponiamo e da cui siamo noi che dobbiamo imparare, osservando il loro modo di aggirare gli ostacoli postigli dalla loro diversità manuale.
Ciò di cui essi hanno bisogno è innanzitutto l’affetto ed il sostegno della propria famiglia per crescere forti ed equilibrati e per essere poi in grado di affrontare gli altri che spesso non sono preparati ed abituati a confrontarsi con la diversità.