Mi chiamo Laura.

Oggi ho 42 anni, ma solo a 24 ho potuto dare un nome alla mia “diversità”. Non mi dilungherò e non starò a raccontare cosa abbia significato per una bambina piena di vita e iperattiva vivere, crescere e svilupparsi con un deficit fisico e una madre bipolare che non ha dato il minimo supporto dal punto di vista psicologico.

In passato ho sempre convissuto con un grande complesso d’inferiorità, verso tutto il genere umano, e non sono mai riuscita, a parlare apertamente del mio “problema” con nessuno. Ricordo solo che da piccola non accettavo il mio deficit fisico, la mia diversità, il mio essere più debole. Non avere un dorsale, un intero pettorale, il braccio sinistro e la mano sinistra deboli e molto meno resistenti erano purtroppo dati di fatto, ma il bello di quando si è piccoli è che non ci pensi davvero e non riuscire a fare qualcosa che gli altri bambini riuscivano a fare mi faceva davvero arrabbiare e mi rendeva ancora più ostinata e focalizzata nei miei obiettivi, perchè non riuscire era per me inaccettabile!

Io non volevo essere da meno e ci tenevo a dimostrare al mondo quanto fossi anch’io forte e capace! Mi incaponivo ad imparare come ci si allacciava le scarpe e mi arrabbiavo se qualcuno mi aiutava. Amavo arrampicarmi sulle strutture e i giochi a castello, correre, giocare a pallavolo con gli altri bambini, imparare e fare le verticali e le ruote nei prati, e ci riuscivo e mi veniva tutto benissimo, anzi, molto meglio di tanti altri bambini!

Giusto o sbagliato decisi di vivere così, come se il mio problema non esistesse! A ricordamelo però ci pensavano alcuni bambini e compagni di classe delle medie che con battute maligne e cattive mi facevano notare la mia diversità facendomene addirittura vergognare e ripiombare in una dimensione tutta mia fatta di dolore e silenzi.

Crescendo ho imparato ad essere più forte dei pregiudizi. L’amore per la natura, l’attività fisica e gli sport all’aperto aumentava sempre più, e niente e nessuno sarebbe riuscito a fermare questo mio trasporto. Prima la passione per lo snowboard, poi lo yoga, la bici, la corsa, la corsa in montagna, poi la montagna vissuta a 360° con l’arrampicata su roccia e infine l’alpinismo. Questi ultimi erano sport che nemmeno contemplavo perchè consapevole del fondamentale uso delle mani, delle braccia e dell’addome in generale. Ma il desiderio e l’attrazione per queste discipline erano così forti che con la stessa identica caparbietà che ci mettevo da bambina nel voler imparare ad allacciarmi le scarpe sono riuscita a realizzare il sogno di poter scalare e raggiungere vette di montagne d’alta quota con l’utilizzo di picozze e corde per l’arrampicata.

La vita mi ha davvero insegnato che nello sport quando c’è la testa è veramente difficile non riuscire a realizzare quel che si desidera nel profondo.


Ora vivo ancora coi miei piccoli fantasmi con cui dovrò prima o poi fare i conti ma una cosa è certa, ho imparato ad amarmi, rispettarmi e a credere in me e nelle mie capacità fisiche.