Ho avuto il mio terzo figlio nel 1997. Al secondo mese di gravidanza, nonostante avessi già effettuato due ecografie per mantenere sotto controllo la situazione, ho avuto un’emorragia. Dal momento che durante la gravidanza del mio secondo figlio avevo avuto un problema di placenta previa, con il terzo figlio ho fatto tutti i controlli del caso per prevenire ogni tipo di problema. Infatti avevo prenotato il tritest per sapere quante probabilità c’erano di avere un figlio Down. Ma dopo aver ,avuto l’emorragia ho disdetto tutto dicendomi che avrei accolto mio figlio sano o malato che fosse, non perché non mi importasse più di lui ma perché avevo fatto tutto il possibile per non perderlo. Così ho dovuto lasciare il mio lavoro e nonostante le mie condizioni di salute, a casa, con altri tre uomini (mio marito e i miei due figli), sbrigavo da sola tutti i lavori domestici.

Ad ogni controllo ecografico mensile il mio ginecologo mi diceva che stava accadendo un miracolo perché la placenta risaliva e il bimbo stava bene. Insomma la gravidanza procedeva bene, tutto nella norma. Al settimo mese il ginecologo mi comunicò che il feto presentava una testa allungata, ma mi rassicurò dicendomi che era cerebralmente sano e che non era affetto dalla sindrome di Down.

Non vi dico quante cose pensavo durante la gravidanza. Ma alla fine è nato Simone.

E’ venuto al mondo con il parto cesareo perché si presentava “seduto”, quindi in una posizione che non facilitava il parto naturale. Ho vissuto tutto il periodo della gravidanza con tanta ansia e molte paure. Di notte sognavo sale operatorie, sangue, e che mio figlio aveva 6 dita! Infatti quando ho avuto Simone fra le mie braccia per la prima volta ho chiesto a mia madre di spogliarlo e una volta accertatami che era sano, vi giuro, ho pianto di felicità! Certo la testa mi sembrava strana ma pensavo che quella forma fosse dovuta alla posizione che Simone aveva assunto dentro la mia panCIa.

Il lunedì successivo al parto, il ginecologo ed il pediatra convocarono me e mio marito nel loro studio. Ci comunicarono che Simone aveva dei problemi alla testa e che una volta dimessi dall’ospedale avremmo dovuto fargli fare un’ecografia cranica. In quel momento ho urlato a più non posso, ho avuto una crisi di nervi. Non ragionavo più.

Una volta usciti dall’ospedale siamo andati dal pediatra, il quale giudicava Simone un bimbo sano. Visti i giudizi di scordanti non ci siamo fermati e ci siamo rivolti ad un altro pediatra per un terzo parere. Appena quest’ ultimo ha visitato mio figlio ha prenotato subito una TAC presso una struttura ospedaliera. Dopo tre giorni di ricovero in ospedale siamo tornati a casa. Dopo dieci giorni arrivò la chiamata del primario che mi disse: “Signora, suo figlio è affetto da una craniostenosi, le consiglio di sottoporlo ad una visita neurologica. Secondo il mio parere deve essere operato.”

In quel momento, dopo quelle parole, mi è crollato il mondo addosso. Per me non esisteva più niente e nessuno. La sofferenza di quegli istanti non la so spiegare. La sofferenza io l’avevo già conosciuta in maniera e forme diverse ma per un figlio è allucinante. Non sapevo più cos’altro aspettarmi.

Ci indirizzarono verso un ospedale di Roma, dal solo chirurgo che in tutta Italia operasse patologie come la craniostenosi. Mio figlio è stato in lista d’attesa per quattro mesi e alla fine per effettuare l’intervento mi hanno chiesto di pagare 22 milioni di lire, (cosa che non potevo permettermi). La pediatra di Simone si rivolse così ad un ospedale di Genova, dove ci siamo subito recati per effettuare una visita. Non ci hanno permesso di tornare a casa perché, mi spiegarono, che questo genere di intervento doveva essere fatto entro i sette mesi (Simone ne aveva già 6 e mezzo) poiché il cervello pompava e le suture restavano aperte.

E’ stato operato il 3 marzo del ’98. Cinque interminabili ore di sala operatoria, varie trasfusioni, nove giorni di terapia intensiva. Alla dimissione dall’ospedale pensavo che finalmente l’incubo fosse finito. A casa avevamo tutte le attenzioni che si dovevano avere, poiché mio figlio non doveva assolutamente battere la testa e invece il caso volle che lui cadesse in continuazione. Non volevo mandarlo all’asilo perché temevo che avrebbe potuto farsi male. Volevo proteggere mio figlio sotto una campana di vetro. Vivevo un’ansia continua, un’attenzione morbosa.

Ciò nonostante il nostro calvario non era finito. All’età di due anni mi sono accorta che Simone aveva la mammella sinistra poco sviluppata e al centro del petto notavo una specie di buchino (una fossetta). La pediatra mi disse di non preoccupanni perché era del tutto normale. Ma nonostante le sue parole io non mi davo pace. Ci recammo così da un ortopedico il quale a sua volta ci indirizzò verso un altro chirurgo. Come la pediatra, anche quest’ultimo chirurgo riteneva che non ci fosse nulla di grave ma ci consigliò comunque di sottoporlo ad una visita presso l’ospedale di Genova. Mi venne inoltre l’idea di fargli fare un’ecografia toracica. E fu così che scoprimmo che i muscoli del petto erano assenti. Feci visitare mio figlio da un chirurgo di Genova. Mi disse che Simone aveva una sindrome e che per seguire il progredire della malformazione dovevo fotografargli periodicamente il torace. Il chirurgo mi disse che si trattava di una patologia detta “PECTUS ESCAVATUM E CARENTO”. Si pensò di intervenire chirurgicamente. Mi chiedevo cos’ altro mi aspettasse.

Quando l’anno successivo all’intervento tornammo a Genova per la visita di controllo, l’ortopedico mi parlò della “SINDROME DI POLAND”, da cui Simone è affetto. Venne così operato per Pigeon Breast.

Anch’io come altri amici dell’associazione e tutti voi, mi sono chiesta cosa volesse Dio da me, cosa mi stesse chiedendo. Mi sono posta tanti dubbi riguardo l’intervento: come sarebbe stato Simone da grande? Cosa avrebbe pensato di sua madre vedendo tutte le cicatrici? Oppure: nel caso non lo facessi operare, cosa penserà guardando il suo petto deformato? Potrà respirare bene? Avrà altre conseguenze?

Volevo confrontarmi con altre persone affette dalla stessa sindrome per poter capire il loro stato psicologico. Purtroppo non conoscevo nessuno. Ero depressa e disperata. Ma al tempo stesso nella mente restava viva e forte la convinzione che se il Signore avesse voluto aiutarmi l’avrebbe fatto poiché le sue vie sono infinite.

Seguendo il consiglio di una dottoressa andai a far visitare Simone da un suo otorino di fiducia a Bologna. Qui conobbi la mia adorata amica Monica, la madre di un bimbo affetto dalla Poland come Simone. Scrissi al Centro delle Malattie Rare lasciando il mio recapito telefonico. Ho avuto così la possibilità di conoscere altre persone che stavano vivendo la mia stessa realtà. Ed è stato così che sono arrivata alla grande esperienza di questa malattia rara e ad entrare a far parte di una grande famiglia.

Simone è stato operato, con esito positivo per quanto riguarda il pectus escavatum e carenato. Attualmente siamo in attesa di togliere la seconda barra (una l’ha già tolta).

Sono passati otto anni. Simone è sano. Sta bene, salta, parla, cammina, è bravo a scuola e non ha nessun problema di apprendimento. Vive una vita normale, con tante idee per aiutare l’Associazione. Simone è un angelo mandato dal cielo. Ha cambiato la mia vita ed è un bimbo speciale (cosa che lui mi chiede sempre).

Per tutte le mamme: sappiate che anche i vostri figli sono normali e speciali. Nascono così, già grandi, perché vogliono renderei grandi e forti proprio come loro.